Quanto sottovalutiamo i dettagli? Spesso, moltissimo. Come nel caso delle bottiglie di vino, per le quali diamo estrema importanza al contenuto (e ci mancherebbe), vetro e forma, ed etichetta dimenticando la parte funzionale che riesce a far arrivare dalla cantina a noi il vino nelle sue condizioni perfette, o almeno quelle in cui l’enologo ha deciso che quel vino dovesse avere per noi. “Capire” il tappo e riuscire a controllarne gli effetti è dunque uno dei passaggi fondamentali per chi fa vino e la scelta è ormai vastissima anche in questo ambito.
Ma iniziamo dalla funzione: il tappo deve aderire perfettamente al vetro della bottiglia, per evitare di far fuoriuscire il liquido (colature), ma ben più importante, evitare l’eccessiva entrata di ossigeno che potrebbe causare la possibile perdita di qualità del vino causando i classici difetti organolettici dovuti all’ossidazione. Scoprire se “sa di tappo” è la principale ragione per cui al ristorante ci fanno assaggiare il vino prima di servirlo: quel gesto non serve infatti solo per scoprire se il vino è buono e ci possa piacere oppure no, ma innanzitutto serve per capire se possa avere difetti dovuti a cessioni del tappo, fra cui la più evidente è il TCA (tricloroanisolo), quello che comunemente chiamiamo “gusto di tappo”. Al contrario di quello che tutti siamo portati a pensare, non è questo il difetto che gli enologi temono di più: il TCA è quello più macroscopico, quello che normalmente tutti i clienti riconoscono. Ma ci possono essere anche altri difetti dovuti alla tappatura con sughero naturale: come la presenza di altri anisoli, come la cessione di tannini che rendono amaro e/o secco il vino, la cessione di geosmina che dà sentori terrosi, la cessione di pirazine che danno sentori verdi al vino oppure la combinazione o la concentrazione di questi composti, che sono difficilmente riconoscibili dal cliente come un difetto dato dal tappo ma vengono associati alla qualità del vino.
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