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Immagine del redattoreAndrea Moser

Il futuro della Champagne passa dalla sostenibilità

Per quanto possa non piacerci, i francesi, in enologia e viticoltura, hanno sempre qualcosa da insegnarci. E l’ultima notizia che arriva dalla Champagne deve farci pensare.


Solo poche settimane fa, infatti l’Institut National de l’Origine et de la Qualité (Inao) della Champagne ha approvato l’ammissione del vitigno resistente Voltis per la produzione di Champagne AOC. Questo nuovo vitigno è il primo resistente a essere incluso in una denominazione francese. Come spiegato da Maxime Toubart, co-presidente del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc) e presidente del Syndicat Général des Vignerons (SGV), Voltis è una delle risposte all’importante questione della convivenza tra residenti e produttori. Si tratta soprattutto di sviluppare pratiche e consumi nello spirito della sostenibilità.


Ma partiamo da prima: che cosa sono i PIWI?

I vitigni resistenti, meglio conosciuti come PIWI, sono in sostanza vitigni resistenti alle malattie, alcune almeno, e in grado di limitare l’impatto ambientale della loro coltivazione. I PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähig, “resistente ai funghi”), come suggerisce l’origine della parola, nascono in Germania già a fine ’800. Ma come vengono creati i vitigni resistenti ai funghi? Questi vitigni sono incroci tra specie di Vitis, che combinano le caratteristiche salienti, la resistenza e le qualità enologiche. Attraverso una selezione mirata, vengono creati nuovi vitigni innovativi che consentono di rendere la viticoltura più sostenibile e di affrontare alcune delle sfide future nel vigneto. Tutti i vitigni PIWI attualmente approvati per la viticoltura sono stati creati attraverso il metodo della selezione classica della vite.


Alcune di queste varietà di vite resistente sono approvate anche in Italia con il regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 6 dicembre 2021, l’Unione Europea ha dato il suo via libera all’inserimento dei vitigni resistenti alle malattie fungine o “Piwi” nei vini a Denominazione di Origine. In realtà ancora nessuna di queste varietà è ammessa alla produzione di vini DOC in Italia, ma nella scala qualitativa legislativa i PIWI al momento si fermano ai “Vini da Tavola” ed alle “IGP”.

La decisione ha però diviso il settore enoico: anche se per molti rappresenta un passo in avanti verso una viticoltura più sostenibile e green, c’è chi guarda con diffidenza a queste varietà, considerandole una minaccia per la tradizione e la tipicità delle eccellenze italiane.


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